LA VITICOLTURA NEL SANNIO
La provincia di Benevento si colloca nel cuore dell’Appennino Sannita, che è parte integrante dell’Appennino meridionale. È un territorio di confine e di transito naturale quando dalla costa tirrenica ci si sposta a quella Adriatica e viceversa: confina a sud con l’Irpinia, a ovest con il Casertano, a nord con il Molise e ad Est con la Puglia.
Le sue caratteristiche morfologiche, storiche e antropologiche sono talmente uniche che per un momento, dopo l’unità d’Italia, si pensò di creare una regione a parte, Sannio appunto.
Nella Provincia di Benevento operano con regolarità un centinaio di aziende, perlopiù di piccole e medie dimensioni, con produzioni totali inferiori alle 100.00-200.000 bottiglie.
LE CANTINE DEL SANNIO
Da non trascurare il ruolo svolto da cooperative e cantine sociali, che assorbono e trasformano buona parte delle uve coltivate dalle migliaia di soci-viticoltori, fenomeno raro nel Meridione.
Così come non bisogna dimenticare il peso nella filiera di un numero importante di imbottigliatori, provenienti anche da fuori provincia e talvolta da fuori regione, che si approvvigionano nel Sannio per completare le proprie gamme.
Molto ampio, come di consueto, il patrimonio ampelografico sannita. Il vitigno a bacca rossa più diffuso è l’aglianico, con porzioni significative destinate a piedirosso, sciascinoso, barbera del Sannio (da non confondersi con quella piemontese); tra i vitigni a bacca bianca domina la falanghina, ma uno spazio crescente nell’ultimo decennio è stato riservato a fiano, greco e coda di volpe, senza dimenticare varietà “minori” come agostinella, cerreto, grieco, moscato di Baselice.
L’ Aglianico
Un’uva che dà luogo a grandi vini e che è coltivata in molti territori differenti, vini che, sono certamente tra i più importanti d’Italia anche se non sempre tra i più conosciuti.
L’Aglianico, uva portata nel sud Italia dai greci, è un vitigno tardivo, visto che la raccolta delle uve avviene normalmente ad ottobre inoltrato.
L’Aglianico rappresenta quindi un vitigno difficile da gestire e naturalmente sottoposto a numerosi rischi meteorologici.
L’Aglianico del Sannio
Con la vendemmia che ha dunque luogo ad Ottobre, si parla di viticultura del freddo’. Aglianico è dotato di una carica tannica molto importante, di una buona freschezza.
Durante gli anni ’90 non era preferito dal mercato, in quel periodo, si cercavano – e si producevano – vini morbidi, marmellatosi, i classici vini pensati per i concorsi o per le classifiche “top 100” delle note riviste americane di settore.
Talvolta bisogna saper aspettare non meno di 4-5 anni per poter apprezzare la grande ricchezza aromatica e polifenolica che un grande Aglianico sa esprimere. Per non parlare della sua notevole longevità.
Se il tappo regge e la bottiglia è ben conservata, un Aglianico ben condotto in vigna e correttamente vinificato e conservato in cantina, può essere apprezzato anche dopo diversi decenni.
Piedirosso
Il Piedirosso è un vitigno autoctono campano di origine sconosciuta ma presente nella regione da tempo immemorabile e con estensioni inferiori solo all’Aglianico, l’altro grande vitigno rosso della Campania.
È conosciuto con il nome dialettale, Per’ e palummo, che descrive una caratteristica morfologica del rachide che vede i pedicelli dei chicchi colorati di rosso come quelli di una zampa di colombo. Il vitigno è molto vigoroso, con maturazione medio-tardiva nei primi 20 giorni di ottobre.
Le rese sono nella media o basse, ma costanti. È molto concentrata in zuccheri con acidità media. Presenta grappoli di dimensioni medio-grandi, a forma piramidale e a spargolo.
I chicchi sono di media grandezza, sferici, con alte concentrazioni di pruina sulla spessa buccia di colore rosso-violaceo.
Il vitigno trova il suo ambiente naturale nella zona vulcanica della Campania Specialmente in collina intorno ai 300-400 metri di quota. Preferisce sistemi di allevamento poco espansi.
Piedirosso del Sannio
È tipico e molto diffuso in Campania, specie nelle provincie di Avellino e Benevento. Si predispone bene all’invecchiamento ma può essere bevuto anche giovane. Generalmente fornisce vini di buona struttura tannica, con un bel colore rubino.
La gamma olfattiva varia dai frutti rossi come prugne e ciliege dei vini giovani fino alle sfumature terziarie degli invecchiati, con note di caffè, tabacco e speziature.
Nella zona del Sannio compaiono anche profumi resinosi e affumicati, con piccole note floreali che possono avere punte balsamiche nei prodotti migliori.
Sciascinoso
Lo Sciascinoso secondo alcuni storici descrive una stessa varietà che assume diversi altri sinonimi come Sanginosa, Olivella grande o Olivellone.
Da un confronto morfologico e genetico sembra che Sciascinoso ed Olivella siano diversi, e che ci siano molte altre differenti varietà che hanno acino oliveforme e che per questo motivo prendono tutte il nome di Olivella.
Lo Sciascinoso è diffuso e coltivato solo in Campania. In provincia di Benevento è il vitigno base per la produzione del vino DOC Sannio Sciascinoso. E’ un vitigno molto vigoroso ma dalla fertilità contenuta.
Produzione
La produzione è discreta per il peso consistente dei grappoli. Mostra un buon adattamento all’allevamento a spalliera, nonostante lo sviluppo rigoglioso. È piuttosto sensibile alla peronospora, essendo uno dei vitigni a più precoce germogliamento, ed alla botrite.
Il livello zuccherino non è molto elevato, la raccolta avviene intorno alla fine di ottobre, acidità totale sostenuta.
Al profilo sensoriale si caratterizza per un colore rosso rubino vivace, con riflessi violacei. Profumo intenso, floreale, persistente, fruttato con note di frutti rossi maturi, piante officinali. Al sapore è secco, sapido, poco tannico e abbastanza morbido.
Barbera
Elogio della Barbera, Quando dici Barbera pensi subito al Piemonte e alle Langhe. E invece questo nome indica anche un vitigno “minore” campano, coltivato nel territorio di Castelvenere, cuore vinicolo del Sannio. Dici Barbera e subito pensi al Nord Italia, alle Langhe, agli ettari vitati del Piemonte.
PARTE 2
E invece ecco presentarsi, in tutta la sua freschezza e sapidità, questa “piccola” varietà campana, che nulla ha a che vedere con l’omonima piemontese. Trovare un vino a base d’uva Barbera in purezza presso la grande distribuzione è praticamente impossibile: «La produzione si aggira, complessivamente, intorno alle 200mila bottiglie l’anno», La Barbera campana, dopo anni di oblio in cui veniva utilizzata come uva d’assemblaggio per la realizzazione di altri vini, sta finalmente vivendo una piccola stagione di rinascita, compatibilmente con le possibilità offerte dalla sua presenza sul territorio.
Versare una Barbera in purezza nel proprio calice significa essere letteralmente assaltati, al naso, da intensi sentori di frutta fresca, che controbilanciano un assaggio beverino e ruspante, ben bilanciato fra acidità e dolcezza.
Falanghina (Bacca Bianca)
La falanghina, distinta tra un biotipo sannita e un biotipo flegreo, occupa un posto centrale nella Campania del vino, sotto tutti i punti di vista: produttivo, territoriale ed economico.
E’ il vitigno a bacca bianca più coltivato in regione, con oltre 2.000 ettari di vigna censiti (i due terzi in provincia di Benevento), quota superata solo dalle superfici destinate all’aglianico.
Come tante altre varietà regionali, anche la falanghina ha avuto bisogno di un lungo periodo nel secondo dopoguerra per essere recuperata e valorizzata a pieno, prima di tutto da un punto di vista viticolo. Nella seconda metà degli anni ’90 c’è stato poi un vero e proprio boom commerciale per il vitigno.
PARTE 2
La zona più importante per il vitigno, almeno per quanto riguarda le superfici vitate e i volumi trasformati è senza dubbio il Sannio Beneventano, dove sono censiti quasi 1.300 ettari coltivati a falanghina, circa i due terzi del totale regionale. La stragrande maggioranza dei vini, comunque, sono prodotti da falanghina 100% in purezza.
Il vitigno falanghina è abbastanza vigoroso e con buona produttività. Predilige le esposizioni collinari, con clima secco e caldo e i terreni piuttosto poveri. Arriva a piena maturazione verso metà settembre, regalando grappoli abbastanza grandi.
La forma del grappolo e dell’acino definiscono i due diversi cloni: quello beneventano ha il grappolo alato e l’acino leggermente oblungo, mentre quello flegreo ha forma conica e acino tondeggiante.
Il vino ha un colore giallo paglierino, con un profilo aromatico caratterizzato da note floreali, intensi aromi fruttati e sentori minerali dovuti ai terreni, spesso di origine vulcanica.
Il bouquet ricorda la frutta matura con sentori tropicali e buona acidità. Per preservare la fragranza aromatica, la falanghina viene solitamente vinificata in acciaio, senza l’uso di legno.
Fiano (Bacca Bianca)
Il terroir di riferimento per il fiano, da un punto di vista storico e produttivo, quello irpino. L’altra zona che ha visto aumentare notevolmente le superfici destinate al fiano è il Sannio.
Una porzione significativa di nuove vigne è stata realizzata verso la fine degli anni ’90 ed è un processo tutt’ora in corsa. Al vitigno è riservata una specifica tipologia nella dop Sannio e nell’Igp di ricaduta Beneventano.
Il fiano è una varietà vigorosa, capace di adattarsi a condizioni molto diverse, grappolo serrato a volte con un’ala pronunciata (ma esistono cloni decisamente più spargoli), buccia resistente e tenace, maturazione tardiva. il fiano dà vita a bianchi intensi e profumati, ricchi di sensazioni floreali, fruttate e balsamiche, capaci nelle migliori versioni di trovare grande complessità minerale con l’affinamento in bottiglia.
Greco (Sannio doc)
Con il termine Greco sono indicate alcune varietà diffuse nelle regioni meridionali, caratterizzate da diversi toponimi e sinonimie.
Per la sua tipicità di avere il grappolo doppio, il Carlucci ipotizza una discendenza del vitigno dal gruppo delle “Aminee gemelle”, viti introdotte in Campania da coloni Greci 2000 anni fa, e coltivate dai Romani e descritte da Catone, Varrone, Virgilio, Columella e Plinio il vecchio.
Insieme al Fiano e alla Falanghina rappresentano i più importanti e diffusi vitigni a bacca bianca della tradizione campana.
La denominazione più importante della provincia di Benevento è la DOC Sannio, che comprende anche le differenti sottozone Taburno, Sant’Agata dei Goti, Guardiolo, Solopaca.Vitigno vigoroso con vegetazione affastellata.
Manifesta una bassa fertilità delle gemme e una produzione contenuta, a maturazione medio-tardiva nel tradizionale areale di coltivazione.
Descrizione del vitigno
Gli acini sono medi o piccoli, sferoidali, la buccia pruinosa presenta un colore verde giallastro o grigio ambrato a seconda dell’esposizione solare. La foglia è piccola, e ha cinque lobi; il grappolo è grande e allungato, alato e molto compatto.
Presenta un buon livello zuccherino alla raccolta e acidità totale elevata nei diversi ambienti di coltivazione. È più sensibile ad attacchi di Botrite nel periodo vendemmiale. La quantità della produzione è abbastanza contenuta e costante soprattutto se coltivato a spalliera.
Il profilo sensoriale del vino Greco è caratterizzato da un colore paglierino chiaro vivace. Il profumo è floreale con sensazione di pesca bianca, albicocca, frutta esotica, anice e mandorla amara.
Al sapore è secco, fresco, abbastanza morbido. Minerale e con buona acidità, corpo discreto ed equilibrato, piacevole. Si accompagna tradizionalmente a pietanze di pesce di acqua dolce e salata, risotti.
Coda di Volpe (Bacca Bianca)
Con quasi 600 ettari coltivati, la coda di volpe rappresenta la decima varietà per diffusione in Campania.
In considerazione del fatto che col nome coda di volpe vengono spesso designati vitigni diversi di zone diverse, ma chiamati localmente allo stesso modo.
Un utilizzo del termine in qualche modo generico, adottato per cultivar non riconducibili ad altre ben codificate e magari accomunate dalla formula del grappolo allungato, che può ricordare appunto la coda di una volpe.
Le varietà
Una confusione varietale che ha caratterizzato per esempio l’area vesuviana, dove per lungo tempo il caprettone è stato identificato come locale-sinonimo e biotipo della coda di volpe.
In tempi recenti le analisi sul dna hanno evidenziato come in realtà si tratti di due vitigni distinti.
Ma la sovrapposizione non riguarda solo il caprettone: anche il pallagrello bianco, la coda di pecora e alcuni cloni di trebbiano toscano sono stati a volte descritti come particolari biotipi di coda di volpe, prima che fosse chiara e documentata una precisa classificazione.
Il fatto è che solo negli ultimi vent’anni, o poco più, si è manifestata l’esigenza di delineare un profilo in qualche modo univoco della coda di volpe campana.
Per molto tempo è stata impiegata come uva essenzialmente da taglio: non avendo grosse difficoltà a completare la maturazione e non essendo particolarmente dotata sul fronte acido, veniva utilizzata per “ammorbidire” nelle vendemmie più complicate bianchi decisamente più spigolosi, prodotti da fiano, falanghina e soprattutto greco.
Il Vesuvio
L’area vesuviana è indicata come quella di maggiore tradizione per la coda di volpe in Campania, seppure nell’equivoco varietale con il caprettone, ma le aree che hanno provato a valorizzare il vitigno con vinificazioni in purezza sono senza dubbio le province di Benevento e di Avellino, dove i pionieri in tal senso sono state le aziende Ocone (a Ponte, nell’area del Taburno) e Vadiaperti (a Montefredane, nella zona del Fiano di Avellino).
Considerando la grande variabilità morfologica e clonale, è abbastanza difficile identificare un profilo agronomico univoco per la coda di volpe.
Il grappolo
Elementi ricorrenti sono comunque il grappolo grosso e dalla forma allungata, l’acino piccolo e abbastanza regolare, la buccia piuttosto consistente e pruinosa, che tende ad ingiallirsi con la piena maturazione, raggiunta di solito intorno alla metà di settembre.
I bianchi da coda di volpe sono quasi sempre frutto di vinificazioni classiche in acciaio e vengono commercializzati dopo pochi mesi dalla vendemmia.
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